MONTEVERDI
Il combattimento di Tancredi e Clorinda.
Festa a tema a palazzo Mocenigo
Torniamo a parlare di Monteverdi in questo mese carnevalesco.
Sì, perché il maestro di cappella della Basilica di San Marco, all’inizio del Seicento, non è obbligato ad attenersi esclusivamente al suo compito austero, ma può liberamente servire teatri e committenti privati. E la stagione di Carnevale porta con sé un allentamento dei freni sociali, un sovvertimento delle gerarchie comunemente accettate e una gran voglia di divertirsi. Gli spettacoli teatrali sono all’ordine del giorno nei teatri veneziani, nei numerosi campi e campielli con compagnie e saltimbanchi e, per chi se lo può permettere, nei saloni dei grandi palazzi.
Grazie al genio innovatore di Claudio Monteverdi siamo in grado di entrare con la nostra immaginazione in una di queste dimore patrizie e di sbirciare che cosa vi avviene in una sera di carnevale. In quel febbraio del 1624, negli alti saloni di palazzo Mocenigo, avremmo assistito a una serata a tema molto particolare. Possiamo immaginare una vera e propria festa in maschera, con un tema letterario alla moda: il grande poema di Torquato Tasso e le azioni di dame e cavalieri alla conquista di Gerusalemme. Star Wars o Il Trono di Spade ancora non c’erano, ma il succo è quello.
Il padrone di casa, Girolamo Mocenigo, vuole sorprendere i suoi ospiti e si mette d’accordo col maestro di cappella – il musicista più celebre e in vista dello stato – per dar vita a qualcosa di sensazionale: una sorta di teatro domestico; un’azione in musica in linea con la serata a tema: il combattimento fra Tancredi e Clorinda, nel dodicesimo libro di quel poema strepitoso. Monteverdi non se lo fa ripetere due volte e realizza una musica mai sentita prima su quelle ottave tanto ricche di azione, pathos, amore e morte.
Gli ospiti non si aspettano nulla più di una normale festa di carnevale: costumi sgargianti ed eccentrici, carne, vino e dolci in abbondanza, musica cantata “senza gesto” da cantori e musicisti, ma la sorpresa è letteralmente dietro l’angolo. In una stanza a parte, nascosto alla vista dei convitati, siede un gruppo di musicisti e, al culmine della serata, attacca un’introduzione suadente con gli archi, mentre nella sala principale iniziano a occupare la scena i protagonisti di una cosa sino ad allora mai sperimentata.
Pezzo in stile rappresentativo? Scena d’opera? Cantata?
La cosa non ha ancora un nome. Quel che succede è che la narrazione del Tasso prende vita. Non c’è solo la voce del poeta che diventa musica, ma anche il trotto e il galoppo del cavallo, lo sferragliare delle spade, il passo carico di tensione dei personaggi, la circospezione e l’aria elettrica di un duello alla Sergio Leone. Per rendere tutto questo Monteverdi abbandona a tratti la musica e sfrutta al massimo ritmo e suono: accordi ossessivi evocano la corsa sempre più impetuosa del cavallo; per la prima volta nella storia della musica i violinisti lascino gli archetti e pizzicano le corde con le dita. Per le orecchie degli invitati di Messer Mocenigo sono cose inaudite. È come esserci dentro, alla Gerusalemme Liberata.
Il narratore vagheggia contemplando lo splendore silenzioso della notte. Tancredi si prepara alla battaglia contro l’anonima figura armata fino ai denti che gli si para davanti. Lo scontro corpo a corpo assume toni erotici, come di un amplesso tra i due, fino a che è Tancredi ad avere la meglio. Si avvicina al corpo sconfitto, lo libera dall’elmo e scopre…