Nascere e crescere in una famiglia di musicisti
Nascere e crescere in una famiglia di musicisti, nonno, papà e sorella, non è cosa facile soprattutto perché da parte di tutti c’è la strana convinzione che solo per questo “tu sai di musica classica”.
Attenzione, questo non significa che io sia totalmente disinteressata all’argomento, o che non abbia il mio personale bagaglio musicale, semplicemente la musica classica la conosco e l’ho sempre vissuta a modo mio.
Come si chiama la sigla di Quark che mi piace tanto?
“Titti come si chiama la sigla di Quark che mi piace tanto?”. L’aria sulla quarta corda di Bach l’ho scoperta in quell’esatto momento e devo ammettere che è stata in più di un’occasione un elemento di vanto nei confronti di chi, come me, ne ha sempre attribuito la paternità all’immenso Piero Angela.
Per non parlare di quando una sera ascoltando la Nona Sinfonia di Beethoven sono saltata sulla poltrona pensando “ma questa è Arancia Meccanica!”. Sarebbe impossibile descrivere lo sguardo di rassegnazione di mio padre e mia sorella ormai abituati alle mie “citazioni d’autore”, ma ho sempre apprezzato la loro instancabile volontà di spiegarmi che semmai era Kubrick ad aver attinto da Ludwig e non il contrario.
Amo incondizionatamente la marcia di Radetzky. Non credo ci sia momento più coinvolgente e adrenalinico di quando al Concerto di Capodanno il pubblico riprende miracolosamente vita alzandosi per battere le mani a tempo (o quasi), con lo stesso guizzo felino con cui la mattina ci catapultiamo giù dal letto in ritardo per non aver sentito la sveglia.
Beethoven e la febbre del sabato sera
Irresistibile è l’arrangiamento in versione “disco” della Quinta Sinfonia di Beethoven, trionfante per l’ingresso al 2001 Odyssey di Tony Manero. Sono convinta che se non fosse per un ovvio problema cronologico, molti “straclassici” come me, inciampando nell’ascolto di questa sinfonia penserebbero: “però, figo anche questo arrangiamento più lento”
E chi almeno per una volta da bambino non ha immaginato di salvare il mondo o combattere contro un nemico immaginario saltando sul letto e cantando a gran voce “pappaparappappa papparappappa pappaaaaa”! Ecco, io credo che canticchiare Wagner con tanto di mantello e spada sia un lusso concesso solo agli inconsapevoli perché totalmente privi di senso critico per il capolavoro che stanno dissacrando.
Ma c’è un episodio che ha definitivamente consacrato il mio rapporto controverso con la musica classica. Avevo 10 anni e precipitai in un sonno profondo durante l’esecuzione de “L’Uccello di Fuoco”, accompagnata dolcemente dalla dirompente progressione di timpani, grancassa e piatti.
Mi svegliai solo alla fine del concerto, evidentemente disturbata dagli applausi, e ricordo le parole di mia madre: “Dai Rugiada alzati, andiamo a casa a dormire”.
Signori, questo si chiama talento.