IL CACHET: una specie in via d’estinzione?

Immagine di pianista che suona con soldi, articolo blog spin-off di amusart

IL CACHET: una specie in via d’estinzione?

Un articolo di Tiziana Tentoni
Oggi parleremo di una specie in via d’estinzione: il cachet.

Quando avevo 23 anni ed ero allieva dell’Accademia Chigiana, partecipavo con il mio quartetto ai concerti che venivano organizzati nei dintorni di Siena durante il mese di svolgimento del corso di Piero Farulli.
 
Erano concerti che avevano la funzione di preparare gli allievi all’ultimo passo decisivo della formazione: il saggio finale nell’incanto della Micat in Vertice, una sala che ha visto passare sul palco i più grandi musicisti di tutti i tempi, un concerto nel quale ci si giocava il diploma d’onore, il riconoscimento più alto dell’Accademia.
 
I concerti erano organizzati dall’Accademia in collaborazione o con piccole realtà o con benestanti famiglie toscane, che mettevano a disposizione di giovani musicisti come noi il loro giardino, la corte, il salone e una piccola platea di amici alto borghesi appassionati di musica classica: poi la cena finale e si tornava stanchi morti con il pulmino della Chigiana, scoppiettanti e felici.
 
Dopo uno di questi concerti, intenti ad analizzare tutto quello che nell’esecuzione non aveva funzionato e quindi da migliorare, ci si avvicina un signorotto dal sorriso sgargiante chiedendoci se eravamo disposti ad andare a suonare, qualche mese dopo, a non ricordo più quale evento avrebbe fatto nella sua umile tenuta di campagna nel Chianti con ettari di vigna annessi.
 
 
Eravamo naturalmente entusiasti, certo, molto volentieri: ma mentre ai miei compagni non era neanche passato per la testa che bisognava chiedere di essere pagati, io mi ero permessa di sollevare la questione. E, stiamo parlando di quasi 30 anni fa, suggerii che avremmo dovuto chiedere per il quartetto non meno dell’equivalente attuale di 250 euro: in quattro, dovevamo viaggiare, insomma una piccola richiesta soltanto per non rimetterci, eravamo alle prime armi, solo e sempre grati di avere la fortuna di poter suonare.
 
Quindi, dopo aver aspettato qualche giorno, decidemmo di alzare il telefono e fare questa scandalosa proposta: indovinate chi doveva parlare con il signorotto? Ovvio.
 
Mi feci forza e scandii bene la cifra, anche con un po’ di vergogna, quella sensazione che ogni musicista prova le prime volte che rimanda a termini di “vile” denaro 2 ore di esecuzione che sono il frutto di giorni, mesi e anni di impegno, lavoro, gioie e sacrifici.
 
La risposta non la dimenticherò: Non credevo di dovervi pagare, vi ho chiesto di suonare, a voi piace, al massimo posso offrirvi la cena molto volentieri.
 
Declinai la generosa offerta, ribadendo che quella era la nostra richiesta: ne venne fuori una litigata importante con il quartetto e fui molto dispiaciuta. Ma molto più della delusione di non poter suonare una volta in più l’op. 59 nr 3 di Beethoven, era forte il disagio perché non mi quadrava proprio che tutto ciò che facevamo valeva al massimo una cena in vigna.
 
 
Crescendo professionalmente come musicista, ho man mano imparato a gestire il fatidico momento della richiesta del cachet, ma sempre con l’amaro in bocca di non riuscire davvero a capire quale fosse la cifra opportuna da chiedere.
 
Adesso, ovviamente, la vedo in tutt’altra maniera.
 
La determinazione del cachet di un concerto si compone di almeno 3 elementi.
Uno di questi, quello più importante, è il valore che attraverso il nostro concerto portiamo al committente. Non parlo di valore musicale guardate, quello è insito, è scontato: si tratta degli scenari, delle prospettive, dei riconoscimenti e delle occasioni che generano profitto – commerciale, artistico e relazionale – a chi lo organizza: tanto è maggiore, tanto la cifra dovrà essere calibrata in proporzione.
 
Dei 3 elementi da considerare per determinare un cachet, ve ne parlo alle 18:00 in @MUSICLEAD | La community di Amusart: a dopo!
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