Prendiamo la Nona Sinfonia e il suo strano inizio: un brodo primordiale in cui sguazzano particelle elementari; al secondo posto uno Scherzo potente e terribile, quindi il vagheggiare etereo dell’Adagio ci porta ancora più lontano. Tutto questo viene scartato e negato nel finale, apoteosi di gioia e abbraccio fraterno che riconcilia col mondo.
Osservandola a volo d’uccello, la musica di Beethoven – al netto di alcune eccezioni – sembra seguire una simile impostazione: un percorso che parte da situazioni di difficoltà, caos, morte, oscurità e che guadagna la propria strada verso la riuscita, l’ordine, la vita, la luce. Beethoven ha radicata in sé questa dialettica morte-rinascita, espressione di una morale interiore che ambisce a innalzare le condizioni spirituali dell’umanità. La vita, però, corre spesso su altri binari.
Beethoven adolescente forma il proprio pensiero sulle idee illuministiche, sul pensiero di Kant, sulla poesia e il teatro di Schiller; Neefe gli fa conoscere Bach. È quindi naturale l’adesione al linguaggio classico che in quegli anni papà Haydn e Mozart stanno portando al massimo grado di ricercatezza, profondità ed equilibrio. La fiducia totale e ottimistica nella ragione – e nella forma che la traduce in musica – non lo abbandonerà mai, nemmeno nei punti estremi della sua produzione.
La ragione guida l’uomo a essere padrone di sé nonostante tutto, a perseguire il bene proprio e altrui; uno storico della nostra epoca chiamerà questo un atteggiamento eroico. Il compositore è investito di una responsabilità ulteriore in quanto capace di un linguaggio universale. Ed ecco che la musica diventa mezzo privilegiato della uscita dallo stato di minorità, che Beethoven fa proprio sin dal suo esordio: i sei quartetti op. 18 segnano un compiuto apprendistato, una conquista dello spazio sonoro e una propensione a manipolare la forma, a contaminarla con attimi di pura ispirazione e a spostarne gli equilibri.
Trentaduenne, inscena un primo ciclo di morte e rinascita, conscio che l’ipoacusia va peggiorando ed è irreversibile; per un compositore la sordità è la morte. Dalla villeggiatura a Heiligenstadt scrive ai fratelli le pagine più struggenti in cui piange la sua condizione, medita il suicidio e progetta un nuovo inizio. Quel che avviene è una morte simbolica che gli dà le forze per intraprendere una nuova via. Per il mondo musicale è una bomba scagliata a tradimento.
Nel decennio che segue, la creatività di Beethoven è in totale fermento: nascono opere che stravolgono il pubblico e l’editoria, rivoluzionando la percezione stessa della musica. I colpi della Terza e della Quinta, il loro materiale ermetico e addirittura a-musicale, l’energia e la tensione sovrumane che sprigionano: non si era mai sentito nulla di simile. Il compassato quartetto diventa una piccola, sapiente e ambiziosa sinfonia, in cui ai musicisti viene chiesto di spingersi ben oltre le convenzioni; così anche con la sonata per pianoforte, in cui certi moti preromantici d’irrazionalità notturna vengono messi a sistema.
Ma arriva il momento di una seconda morte, di un periodo di silenzio: per circa cinque anni compone pochissimo, cosa allora inusitata per un compositore; la produzione scarsa e mediocre segna il punto più basso dell’artista, e in questo caso anche dell’uomo: Beethoven si trascura, beve, frequenta prostitute, torna a meditare il suicidio, avvia una penosa battaglia personale e legale per l’affidamento del nipote Karl, che condurrà alla disperazione. Dentro di lui però qualcosa sta agendo.
Una formidabile forza interiore esplode nella Hammerklavier. Beethoven entra in quella che sarà l’ultima fase della sua produzione, feconda e febbrile, che consegna al mondo le Variazioni Diabelli, la Missa Solemnis, la Nona Sinfonia e gli ultimi quattro quartetti d’archi. Malato, muore pieno di idee, abbozzi, progetti per il futuro. La sua musica ambisce a parlare all’umanità e a portare sempre più in altro la civiltà, ma queste vette sono raggiunte solo con dolore, fatica, lavoro, lotta.
La musica di Beethoven ci racconta anche questo. Ma proviamo a resistere alla tentazione di identificarla con la sua vita e con una personalità problematica e contraddittoria, tanto spesso oggetto di venerazione. Dotato di una genialità fuori dal comune, ci si presenta come uomo a tutto tondo, compositore capace di intuizioni formidabili e rovinose cadute. Anche in virtù di questo, Beethoven parla a tutti, tanto umano nella sua imperfezione da poterlo considerare universale.
Mauro Masiero