Diritto alla musica

Diritto alla musica

Se c’è un argomento che è stato solo lambito in questo periodo di sospensione delle attività dal vivo, è quello del diritto alla musica.

Sì, perché possiamo continuare a dircela come vogliamo, ma la musica, la grande musica, è un diritto fruirla: non gestirla.

Le istituzioni di musica classica, prima del Covid, erano già in uno stato di agonia preoccupante: poco pubblico, sempre gli stessi artisti, due o tre agenzie di riferimento (le stesse che ora sono in fin di vita, per capirci). Sempre è mancata, e ancora di più durante la pandemia, una visione, un guardare oltre: e questo anche grazie al fatto che ai ruoli di dirigenza, quasi sempre, si arriva per scambi, per favori politici, per premeditata turnazione delle poltrone. Insomma manca la volontà di far subentrare la classe dirigente artistica nuova, quella che ha anche competenze manageriali: che sa come investire i fondi pubblici e privati che arrivano nelle casse delle fondazioni liriche.

Ora tantissime le istituzioni si stanno, spesso maldestramente, riversando nello streaming: doveva essere fatto già da aprile, come in tutti gli altri stati europei. Ma qui la macchina è lenta, pesante, non ha la snellezza necessaria ad affrontare situazioni di emergenza, come è stato da marzo in poi. E poi, è un fatto, quasi tutti hanno visto nella cassa integrazione una panacea per riempire i buchi di bilancio, magari immaginando che questa situazione con l’estate si sarebbe risolta.

Nel frattempo, il FUS 2020 è arrivato e la cassa integrazione pure: forse sarebbe il caso di rendicontare cosa è stato fatto con questi soldi, quali le innovazioni, i nuovi progetti, la creazione di dipartimenti dedicati al digitale. Non si vede nulla all’orizzonte e questo perché tanto, che piova o che tiri vento, arriverà il prossimo santo FUS o ancora la cassa integrazione a metterci una pezza: che va benissimo, ci mancherebbe altro. Ma gli investimenti quali sono stati sinora?

Nessuna delle associazioni varie che si dichiarano di tutela dei lavoratori dello spettacolo ha ottenuto niente, se non proclami continui di proposte che poi puntualmente in Parlamento manco sono state minimamente considerate, a riprova della considerazione nulla di cui godono.

Pochissime le grandi istituzioni che hanno davvero proposto una visione futura entusiasmante: La Fenice, l’Orchestra della Toscana, la Scala, il San Carlo, il Teatro dell’Opera. Non a caso, infatti, sono gestite da menti illuminate, manager capaci.

Ma le altre, invece, dove stanno? Perché se non si vedono, se non fanno comunicazione, se ancora la grafica durante le festività è un infantile alberello di Natale a forma di contrabbasso, allora vuol dire che si sta prendendo in giro il pubblico, gli artisti e chi paga le tasse per foraggiare gli stipendi a sei cifre dei dirigenti.

Mi aspetto un anno in cui si sappia, si leggano i nomi, si conoscano le gesta di chi ha letteralmente portato la musica classica negli ultimi 20 anni a questa catastrofe: che ci rimetta non solo il posto ma anche la faccia.

Tiziana Tentoni
Roma, 11 gennaio 2021