Prendiamo due compositori serissimi: Robert Schumann e Camille Saint-Saëns. Siamo su due pianeti diversi: Romanticismo tedesco vs neoclassicismo fin de siècle fieramente antigermanico, eterna contrapposizione franco-tedesca mai veramente sopita dai tempi di Pipino il Breve. Cosa c’è in comune? Siamo ai due capi dell’Ottocento ed entrambi i compositori, a un certo punto della loro vita, si sono occupati di carnevale.
Carnaval è una sfilata di una ventina di miniature pianistiche, un carnevale di personaggi reali e immaginari che affollano la mente turbata del più romantico tra i romantici: Robert Schumann. La poetica di Schumann è impregnata di suggestioni letterarie, di immagini più o meno vivide o sfumate, di passioni violente e profonde che si impossessano del musicista e che guidano la sua mano. Schumann ha una certa difficoltà ad affrontare le forme classiche (la sinfonia, la sonata, il quartetto, ad esempio) e in questo periodo, siamo intorno al 1835, preferisce far volare la fantasia in questo prodigioso slide show musicale che è il Carnaval.
Schumann colloca il suo carnevale immaginario nella cittadina boema di Asch, suggestione non tanto paesaggistica quanto musicale: le quattro lettere che ne compongono il nome suggeriscono diverse combinazioni di note; la notazione tedesca, infatti, si basa su lettere e non sulle sillabe che ci sono familiari (c=do, d=re, e=mi ecc.). Sulla combinazione di queste note si basano tutti i brani, unico paletto che Schumann pone alla sua debordante creatività, niente affatto limitata dal gioco musicale, anzi: stimolata alla creazione di una impressionante serie di variazioni, a discapito della povertà di quelle quattro lettere, e di un ciclo improntato alla compattezza e alla coerenza.
Le maschere che indossa Schumann sono molteplici: alcuni personaggi della Commedia dell’arte come Pierrot, Arlecchino, Pantalone e Colombina; le due anime che si spartiscono la sua psiche: il timido Eusebio e l’impetuoso Florestano; la frivola Coquette e l’appassionata Chiarina – dietro cui si cela l’amata moglie Clara; i suoi idoli musicali: Chopin e Paganini. Dietro la maschera c’è sempre lui, che ci racconta attraverso il filtro della sua sensibilità le sue aspirazioni, le sue angosce, i suoi modelli.
Una trentina d’anni dopo, un altro carnevale in musica.
Camille Saint-Saëns vuole a tutti i costi passare alla storia come un compositore serio di musica classica. Non gli andrà proprio come si aspettava. Ironia della sorte, la sua composizione più nota è quello scherzetto carnevalesco scritto per una serata tra amici di cui aveva – per altro! – proibito la pubblicazione. Uno scherzo che gli si è rivoltato contro.
Saint-Saëns si impegna tutta la vita per regalare alla sua Francia un repertorio degno della grande tradizione strumentale tedesca: sinfonie, sonate, quartetti, concerti; musica formalmente strutturata, pura e assoluta, che non rimanda a niente fuori da sé, la cui comprensione si risolve in sé stessa. Una debolezza – possiamo dirlo a posteriori – gli costa cara. Per il martedì grasso del 1866, in villeggiatura tra le Alpi austriache, Saint-Saëns compone quello che sarebbe diventato il suo brano più noto: Il carnevale degli animali. Saint-Saëns è un razionalista duro e puro, non si abbandona a fantasticherie romantiche, ed ecco che osa quello che ciascun compositore di “musica pura” evita come la peste: imitare la natura.
E si rivela tutt’altro che privo di ispirazione, visto che «quanno se scherza bisogna esse seri», avrebbe detto il Marchese del Grillo. La sua sfilata di martedì grasso è composta da una varietà di animali, puntualmente descritti dalla musica, tra i quali compaiono anche i pianisti, derisi nei loro tentativi di perfezionare la tecnica con maldestri esercizi meccanici. Apre la sfilata il leone con la sua marcia imperiosa, quindi galli e galline, i furiosi e velocissimi emioni. L’ironia di Saint-Saëns si riversa in una satira tagliente contro i virtuosi privi di ambizioni musicali e nelle citazioni più o meno bonarie che inserisce qua e là: il famosissimo can-can di Offenbach, per esempio, viene rallentato all’inverosimile per dipingere le tartarughe; la sua stessa Danse macabre è citata dallo xilofono a imitazione delle carcasse dei fossili, nel quale compare anche un’aria dal Barbiere di Siviglia. Momenti altissimi di suggestione ed espressività arrivano con Aquarium – che si direbbe preso da un film di Tim Burton – e con il celeberrimo Cigno, unico pezzo di cui il compositore autorizza l’uscita. Tutto è gioco e divertimento nel finale, che vede l’intera combriccola passare in rassegna, ciascuno con i propri motivi musicali che si susseguono e si accavallano in una parata variopinta.
L’organico, informale vista l’occasione privata, si rivela modernissimo: due pianoforti, flauto, clarinetto, glockenspiel, xilofono, due violini, viola, violoncello, contrabbasso. In quella sera di martedì grasso Saint-Saëns siede al pianoforte indossando una maschera sul viso, cosa che evidentemente non doveva uscire da quella stanza.
I nostri due carnevali oggi sono capisaldi della storia della musica: il Carnaval una pietra miliare del pianoforte romantico, il Carnaval des Animaux – con buona pace di Camille Saint-Saëns – un brano delizioso e perfetto anche per avvicinare alla musica i più piccoli. A modo loro improntati alla massima serietà, ci lasciano due esempi di come noi ascoltatori possiamo prendere la grande musica con leggerezza e spontaneità. Serve essere esperti di musica per goderseli? Occorre penetrare i segreti della composizione per apprezzare della grande musica? Noi siamo convinti di no.