B250-PJ30 sembra la sigla di un sommergibile, ma non è altro che l’incontro tra due anniversari: i 250 anni dalla nascita di Beethoven (1770) e i 30 anni da quella dei Pearl Jam (1990).
Beethoven e Pearl Jam. E cosa hanno questi due nomi in comune?
Probabilmente niente e a nessuno verrebbe in mente di metterli insieme nella stessa frase. Ma entrambi sono mossi da un grande spirito rock, dove per spirito rock intendo una filosofia e stile di vita.
Ma prendiamola larga. Troppo spesso ancora si parla del confronto tra musica classica e musica rock (metal/pop/rap…), ma credo che i tempi siano maturi per andare oltre una lettura musicale coi paraocchi.
La musica è arte, talvolta occorre uno sforzo in più per comprenderla, altre volte è di semplice lettura e cattura subito gli animi. Ma ciò non è una giustificazione per adagiarsi in una comfort zone di facili ascolti.
La chiave per poter conversare contemporaneamente di Beethoven e Pearl Jam è quella di oltrepassare i limiti delle proprie orecchie ed esplorare cose nuove: perché il confronto con il diverso richiede sempre impegno.
Ci vuole attenzione sia per ascoltare un quartetto di Beethoven, se non si è abituati alla classica, sia per una canzone dei Pearl Jam perché – soprattutto se non si sa l’inglese – non si capisce un’acca di quello che mastica Eddie Vedder quando canta, col suo accento ben lontano dalla migliore pronuncia scolastica.
Chi vive per e con la musica, chi ha un bisogno assoluto di ascoltare le 7 note si siede in una stanza e mette il cd o il vinile (o, per i mid-season/mad-season come me, a suo tempo anche la cassetta) e lo ascolta, senza fare altro che sfogliare il libretto e studiare i testi.
Chi della musica ha necessità, quasi fosse una dipendenza, va oltre gli incasellamenti e ascolta di tutto, un brano adatto per ogni momento.
E così, vi sfido a passare da una “rumorosa” canzone di Eddie, Jeff, Mike, Matt, Stone a una bagatella di Beethoven senza problemi, dalla settima sinfonia a Corduroy in un batter d’occhio. Vi invito a trovare ben altro in ciò che ascoltate. Nella mia colonna sonora c’è un’identità, c’è un messaggio, c’è una via che osservo e abbraccio.
I 5 di Seattle e Ludwig sono i miei compagni di chiacchierate immaginarie dall’adolescenza, i più fedeli. Sono sempre stati se stessi, con i loro pregi e difetti, hanno attraversato varie fasi e sono cambiati, cresciuti, portandosi dietro il loro bagaglio, andando però oltre.
Uomini per cui far parte della società significa prendere posizione politica, seguire degli ideali, indipendentemente dal secolo. Esseri umani a tutto tondo, capaci di districarsi tra difficoltà, il sospiro della morte sempre ad un passo (quanti amici hanno visto morire i Pearl Jam, quante volte Beethoven sarà stato ad un passo dalla morte?), gioie, amori e battaglie contro le convenzioni di tutti i tipi.
E di tutti questi tormenti, rinascite e ricadute troviamo meravigliose testimonianze in musica.
Quindi sì, lo confermo: B. & PJ hanno in comune lo spirito rock, il seguire le proprie esigenze espressive, comunicative ben prima di quelle del pubblico. Uomini liberi di pensare, agire e prendersi le conseguenze, esponendosi per le proprie idee.
Azzardo un parallelismo tra il gruppo della West Coast e il compositore nativo di Bonn. “There’s not one man who’s greater than the sum” recita Dance of Clairvoyants (da Gigaton l’album che forse più ci voleva in questo 2020 – per me ovviamente) e così penso alla Nona Sinfonia nella quale Beethoven, con l’Ode alla Gioia di Schiller, affianca (in maniera divina, diciamocelo) alla metafora strumentale parole comprensibili da tutti. Si canta la Gioia, si celebra l’andare oltre la propria sfera personale per abbracciare quella universale. Via l’egoismo, via l’odio, per lasciare posto a gioia e fratellanza.
Un futuro di condivisione in entrambi i casi (ci riusciremo mai?)
Quindi la musica non è mai anacronistica purché comunichi personalità, verità compositiva (non verità assoluta) e accompagni i nostri sentimenti, che sia di 2 secoli fa, di 50 anni fa o contemporanea.
Questa è l’attualità di Beethoven.
Lo vedo nel nostro tempo, in prima fila a manifestare contro i mali del mondo, a colloquio con Greta Thunberg, fuggire tra i monti per trovare conforto dai propri tormenti nell’unica divinità che si mostra sempre per com’è: bellissima, potentissima e che non fa sconti a nessuno – Madre Natura.
Questo è il vivere il proprio tempo dei Pearl Jam.
Li potete vedere schierati in prima linea per l’ambiente, i senza tetto o eleggere Greta Thunberg alla figura di una veggente nel loro video di Retrograde.
Stiamo imparando qualcosa da questo viaggio onnicomprensivo chiamato vita? Credo che Beethoven e i Pearl Jam lo abbiano fatto e lo stiano facendo tuttora.
Per quanto mi riguarda, sì, e la musica ha sempre accompagnato ogni passo. Ho imparato che gli anni della mia adolescenza potevano essere più semplici certo, ma sono quelli che mi hanno reso come sono, ho imparato che seguire le proprie passioni, anche se non si tramuteranno per forza in lavoro, ti arricchisce, ho imparato che si può cadere in grande stile rialzandosi come se niente fosse ancora sanguinanti, ho imparato che voglio avere più tempo per quanti più concerti rock possibili, ho imparato che forse somiglio a Ludwig, un po’ burbera e scontrosa ma capace di esprimere grande gioia, perché in fondo mi basta poco (datemi un dolce e il biglietto per un concerto).
Sono una Bee Girl [Bee Girl = canzone dei Pearl Jam o Bee(thoven) girl], cresciuta ma rimasta in fondo fedele ai miei ideali utopici di vecchia data e ai miei amici musicali, e sono riuscita a scrivere di Beethoven e dei Pearl Jam senza mai nominare classicismo, romanticismo e grunge!
Do you see the way that tree bends? Does it inspire?
Leaning out to catch the sun’s rays
A lesson to be applied
Are you getting something out of this all-encompassing trip?
Present Tense – Pearl Jam
A chi non mastica i Pearl Jam, a chi non conosce Beethoven oltre Per Elisa, un dono in musica: la playlist Bee&Pearl, per “switchare” tra i secoli come un’ape tra i fiori più belli.
Silvia Podetti